Analizziamo insieme un caso di cronaca dal punto di vista del diritto: il rapper Fedez, che aveva partecipato al Concertone del 1° maggio scorso in onda sulla Rai, aveva anche, poco dopo, accusato di censura i vertici dell'azienda diffondendo un video che è diventato virale sui social networks, accusandoli di aver tentato di "limare" preventivamente quello che sarebbe poi stato il suo discorso sul palco.
Dopo circa un mese e un'audizione in Commissione di Vigilanza Parlamentare sulla Rai del direttore di Rai Tre, Franco di Mare, l'azienda radiotelevisivva ha querelato , come "atto dovuto", per diffamazione e danno di immagine il cantante milanese che adesso rischia di andare a processo. Da una parte quindi interessi di direzione e controllo editoriale, dall'altra la libertà di espressione di un artista, o di un individuo, in generale.
Inizialmente, subito dopo la diffusione del video da parte di Fedez- che era stato editato, cioè tagliato e cucito per far risultare solo alcune parti delle conversazioni telefoniche intercorse tra i dirigenti e gli autori del programma e il cantante- si era parlato di reato di diffusione di conversazioni private (reato dal 2017 punito con un massimo di 4 anni di reclusione) ma cosa si rischia offendendo qualcuno su social? La diffamazione , anche aggravata, per affermazioni offensive .
ll reato di diffamazione (art. 595 c.p.) ricorre allorché, consapevolmente, si offenda la reputazione altrui, comunicando con più persone; il reato è aggravato se l’offesa viene arrecata tramite la stampa o con altro mezzo di pubblicità.
In tal caso, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
La giurisprudenza è costante nell’affermare che “l'uso dei social network, e quindi la diffusione di messaggi veicolati a mezzo internet, integra un'ipotesi di diffamazione aggravata, […] in quanto trattasi di condotta potenzialmente in grado di raggiungere un numero indeterminato o, comunque, quantitativamente apprezzabile di persone, qualunque sia la modalità informatica di condivisione e di trasmissione” (Cass. 50/2017; Cass. 8482/2017; Cass. 24431/2015; Cass. 41276/2015).
I social non sono ancora normativamente equiparati alla stampa quanto ai mezzi di "pubblicità", intesa come conoscenza e conoscibilità del contenuto lesivo da parte di un numero superiore a due di persone, di una generalità di persone non necessariamente individuata, citata però dalla norma, e vi rientrano tutti quei sistemi di comunicazione e diffusione che consentono la divulgazione ad un numero ampio di soggetti. Questo avviene più facilmente sui profili o sulle pagine social con molti contatti o followers grazie al meccanismo della condivisione che funziona da moltiplicatore, potenzialmente all'infinito, di un mesaggio offensivo.
È un errore comune pensare che un post offensivo scritto du Facebook o su Twitter o più genericamente online, che semplicemente alluda ad una persona senza nominarla esplicitamente, non rientri nella fattispecie del reato di diffamazione. In realtà per la Cassazione se il soggetto offeso può essere chiaramente identificato anche senza scriverne il nome e il cognome vi è una lesione della reputazione ed è quindi un reato (Cass. 16712/2014).
Proprio per questo la condotta offensiva, oltre ad essere reato, può dar luogo ad un’azione risarcitoria, sia direttamente innanzi al Tribunale in sede civile sia costituendosi parte civile nel procedimento penale di diffamazione . In ogni caso si dovrà dimostrare di aver subito un pregiudizio alla propria reputazione o all’immagine , pertanto sia la punibilità dell'autore della diffamazione sia la tutela risarcitoria dovranno sempre in ogni caso passare attraverso la verifica dei fatti e che i fatti accertati siano poi anche supportati da prove. Se si ritiene di essere stati diffamati su un social network, è opportuno sporgere querela entro 3 mesi dal fatto.
Nell'ordinamento italiano la libertà di espressione costituzionalmente garantita incontra il limite dell'altrui dignità e reputazione, quindi non si può dire tutto quello che si vuole, in nessun contesto, se questo crea un danno ingiusto e suscettibile di valutazione economica, che può essere anche di immagine o alla reputazione personale o professionale, ad un'altra persona. Esistono, ovviamente, delle attenuanti e delle scriminanti che però vanno valutate caso per caso.
Su questo crinale scivoloso, che divide la sfera penalistica dalla libertà di espressione e di opinione, ultimamente è in corso un dibattito sempre più ampio sui cosiddetti "reati di opinione" e l'opportunità o meno di una sanzione penale per la loro definizione e tutela.
Occhio quindi a cosa si scrive in un "innocente" post sui social network, nel dubbio sempre meglio fare una telefonata veloce al proprio legale di fiducia.
Avv.Romana Mercadante di Altamura
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